Maggio 4, 2024

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Lettera: L’industria del lusso in Italia non deve passare di moda

Lettera: L’industria del lusso in Italia non deve passare di moda

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Un ottimo articolo sul futuro dell’industria italiana del lusso, con proprietà sempre più straniere, e in particolare francesi, evita di evidenziare due questioni importanti (“End of the line?”, The Big Read, 26 giugno).

L’arrivo di ricchi conglomerati multimarca ha permesso a case fino ad allora talentuose ma a corto di liquidità di moltiplicare i propri punti vendita (Bottega Veneta, 83 nel 2005 e 271 lo scorso anno) e aumentare fatturato e occupazione. Raggiungendo livelli inimmaginabili (i ricavi del produttore del lusso sono passati da 160 milioni di euro di fine 2005 a 1,7 miliardi di euro lo scorso anno, e il numero dei dipendenti da 741 a 3.748).

Inoltre, i nuovi proprietari hanno riconosciuto l’eccellenza della manifattura italiana e hanno investito in nuovi stabilimenti lì: Yves Saint Laurent, qualunque sia il marchio, ha aperto uno stabilimento vicino a Padova, mentre l’occupazione di Louis Vuitton in Toscana dovrebbe raggiungere i 450 in un terzo. L’impianto è pienamente operativo.

In questo contesto, una sana politica del governo mira a migliorare l’ambiente imprenditoriale per gli investitori nazionali o esteri e rendere l’Italia una destinazione privilegiata per la moda globale. In altre parole, l’investimento nella tecnologia digitale non è altro che tolleranza, due motori della classe creativa senza radici. Promuovere il “Made in Italy” richiede un cambio di mentalità, piuttosto che la difesa operativa del “Made by Italy”.

Andrea Goldstein
Parigi, Francia